La terra dei cachi
Mai come oggi capiamo l’altissimo valore profetico di questa canzone che Elio e le storie tese cantarono a Sanremo 96 in pieno governo Dini.
Anche quello era un periodo di transizione bislacco. Era morta la Prima Repubblica e la seconda stentava alquanto. Sembrava un paese allo sbando. Un banchiere del popolo aveva il pallino in mano e si barcamenava. Anche allora c’era Mastella che sbolinava sulle vele spiegate del Ccd.
Ieri Conte ha ricevuto la malinconica desistenza al fidanzamento da parte di Clemente da Ceppaloni, geloso di Renzi e amareggiato dall’infantilismo politico di Calenda.
Anche l’Udc di Cesa declina l’offerta di responsabilità nonostante le avances della virginea Binetti. Tempi duri per i professionisti del popolo.Non ci sono più i Razzi e i De Gregorio di una volta.
Resiste nella costruzione solo il gruppuscolo del Maie, ma je troppo poco. Il ciuffo di Giuseppi è sempre ganzo ma il suo orizzonte è inevitabile. Si chiama Colle del Quirino, dove recarsi senza nemmeno un partitino.
L’algido signore dai capelli bianchi, che lo abita, gliel’aveva fatto forse capire, ma Rocco e i suoi fratelli volevano andare alla conta per resistere ad oltranza. Ovviamente il Pd delle giravolte si è già ribordato.
Da un lato alza il prezzo, dall’altro non vuole cadere in tranelli di conte con pallottolieri fasulli. Tempi duri per gli avvocati perché prima o poi arriva la sentenza. Si chiama politica. Conte può solo dimettersi e rimettere il pallino nelle mani di Mattarella che già per due volte lo ha affidato a lui. Lo farà una terza? Deve fidarsi. Parola sconosciuta nella casa del grande Fratello. Ma se loro, del palazzo non si fidano di sé stessi perché gli italiani dovrebbero stare tranquilli?
Il tempo che possono perdere prima di aver tirato addosso i cachi è finito.
Italia si, Italia no…
Lucido e calzante
Lucido e puntuale