Leoluca Orlando, il cimitero degli elefanti
Non c’è dubbio che per longevità politica il nostro perenne Sindaco, Leoluca Orlando, sia un elefante della politica italiana. Ha calcato, in un contesto politico che va dalla DC alla Rete, dalle forche di Italia dei Valori all’autarchismo semipiddino, tutti i palcoscenici dei circhi italiani.
Memorabile fu una direzione nazionale DC del 1990 in cui profetizzando come Cassandra la fine del partito gli propose una chance ultimativa. O mi fate segretario o me ne vado abbandonandovi ad un destino bieco. Ed in effetti bieco fu qualche anno dopo con tangentopoli. Ma anche la Rete, dopo una fiammata iniziale, fu un fuoco fatuo da Torquemada della politica.
Insieme a Casini è tutto ciò che, in politica, ci rimane, come diceva Raf, degli anni ’80. Potevamo pensare a grandi uscite di scena, un rettorato ad honorem in Turingia o in Renania, una poltrona ad hoc all’ONU, un ruolo da cooprotagonista, con annessa candidatura dell’Accademia, nell’ultimo film di Wenders.
Una più realistica prospettiva sarebbe stata, qualche mese addietro, approfittare della mozione di sfiducia presentata in consiglio per uscire di scena con un ritiro alla Cincinnato nella sua Filaga, a scrivere un grande affresco, un vangelo secondo Orlando, della sua parabola nella storia politica italiana. Sta invece procedendo verso un sepolcro indegno tra bare accatastate, seppellitori scomparsi, guardiani cimiteriali assenteisti e necrofori truffaldini.
Un elefante in un triste cimitero.