Ai giovani imputati e ai destinatari di misure civili rieducative garantire la libertà di scegliere un percorso di vita diverso, aderente alla legalità e al rispetto dell’altrui persona

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“A chi oggi sostiene che la mafia è estranea al dilagare della criminalità giovanile, rispondo che non è così: la mafia è più forte di prima, ha soltanto adottato nuovi schemi operativi che la rendono più simile al fenomeno camorristico, ma che sono altrettanto dirompenti”

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Sono stanco di assistere impotente al crescente degrado della mia città, al dilagare della violenza giovanile che rende pericoloso persino fare una passeggiata in centro con i propri familiari. Sono lieto delle iniziative preannunciate dal governo sul potenziamento delle Forze di Polizia sul territorio, ma non credo che basti presidiare la nostra città per risolvere il problema.

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Dobbiamo lanciare ai giovani un messaggio bene preciso: noi giudici minorili abbiamo il dovere di continuare a proporre ai giovani imputati e ai destinatari di misure civili rieducative la libertà di scegliere un percorso di vita diverso, aderente alla legalità e al rispetto dell’altrui persona. Abbiamo il dovere di dire loro che se accettano di abbandonare il linguaggio della violenza, di impugnare un’arma per procurarsi il denaro per vivere o per dedicarsi a una vita insana, c’è un mondo che li aspetta e che offre loro la possibilità di un reale riscatto.

Il rischio che corriamo, altrimenti, sarà quello di consegnare queste nuove generazioni a una criminalità che non sposa più i classici modelli comportamentali dell’appartenente a “cosa nostra” e che, tuttavia, è parimenti pericolosa e tende a recepire il modello operativo della camorra. Al tempo stesso è nostro dovere spiegare ai giovani che il grido d’allarme che la società civile lancia alla magistratura e alle istituzioni politiche ben potrebbe legittimare un inasprimento del regime giuridico del diritto minorile, limitando ulteriormente, ad esempio, la portata applicativa degli istituti della messa alla prova e del perdono giudiziale.

Io amo il mio lavoro e mi ritengo fortunato di viverlo dopo trentuno anni con lo stesso entusiasmo iniziale e con la consapevolezza che si tratta di un lavoro che non può essere fatto soltanto per percepire uno stipendio. Ed è per questo che ogni anno vado a visitare i detenuti dell’istituto penale minorile di Palermo e di alcune comunità, per incoraggiarli, per dire loro che fuori esistono soggetti ben peggiori e che forse a qualcuno fa persino comodo che loro siano ristretti tra le mura di un carcere minorile o di una comunità. Qualche giorno fa sono andato al carcere minorile “Malaspina” di Palermo e ho incontrato trenta giovani detenuti. Ho detto loro che sarò sempre pronto a incitarli a percorrere la strada della rieducazione. Ho detto loro testualmente: “quando uscite da qua dentro, non rimettetevi in mano una pistola, non andate a fare un’altra rapina. Non fatevi fare del male da chi ha interesse a relegarvi come un rifiuto sociale. È possibile ricominciare in modo diverso. Quello che sto per dirvi non dovete interpretarlo come una giustificazione, però penso che se io fossi nato allo ZEN o al CEP da un padre rapinatore, avrei rischiato di commettere i vostri stessi errori. Eppure allo ZEN esistono tantissime persone che studiano e che si creano un fuori migliore, di lavoro e di serenità. Al tempo stesso abbiate consapevolezza che << la musica sta cambiando>>. Potrebbero essere emanati altri <<Decreti Caivano>>, noi magistrati potremmo essere invitati, anzi già lo siamo, a operare una valutazione maggiormente ponderata e selettiva dei presupposti per il riconoscimento dei benefici premiali e penitenziari. Ci chiedono, ritengo anche a ragion veduta, di adottare una maggiore fermezza e fare passare in modo chiaro che chi sbaglia paga e paga sul serio”.

A chi oggi sostiene che la mafia è estranea al dilagare della criminalità giovanile, rispondo che non è così: la mafia è più forte di prima, ha soltanto adottato nuovi schemi operativi che la rendono più simile al fenomeno camorristico, ma che sono altrettanto dirompenti. La mafia trae vantaggio dalla prospettiva di potere “arruolare” giovani che maneggiano armi con estrema disinvoltura. La mafia parla il linguaggio della violenza, esattamente come i giovani che scelgono le armi anziché il dialogo per confrontarsi con altri giovani.

Allora dobbiamo intervenire. È inaccettabile che la Procuratrice della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni debba vivere scortata semplicemente perché fa il proprio dovere: chi è mafioso o spacciatore merita provvedimenti che incidono sulla sua responsabilità genitoriale perché non deve offrire ai propri figli quei modelli di vita. Dobbiamo impegnarci tutti per una società diversa, nella quale un like che inneggia alla mafia deve ricevere la massima disapprovazione e non migliaia di like. In questo contesto ben venga l’apertura di procedimenti diretti alla decadenza della responsabilità genitoriale di mafiosi e narcotrafficanti.

Ben venga l’adozione del protocollo “Liberi di Scegliere” e in questo contesto auspico che quanto prima tale protocollo divenga operativo, così garantendo, tra l’altro, una uniformità di applicazione tra le varie Procure e i vari Tribunali Minorili. Ed è anche su questo tema che ho pensato anche a una iniziativa dopo un dialogo intrattenuto con il dirigente del settore giovanile di una società calcistica professionistica. Penso che proporre a un adolescente di debuttare in un torneo di squadre giovanili potrebbe essere un incentivo a seguire un percorso di rieducazione alla legalità lontano dal contesto territoriale deviante in cui è cresciuto. Lo stesso dicasi per gli stage cinematografici per giovani attori.

E inoltre: laddove si riuscisse a individuare i giovani autori di post pubblicati sui social e inneggianti alla mafia, si potrebbe astrattamente ipotizzare l’aperura di procedimenti per l’applicazione di misure rieducative. Tali procedimenti prevedono, in primo luogo, la convocazione del minore che ha tenuto una “condotta irregolare”, unitamente ai suoi genitori. Successivamente si incarica il servizio sociale territorialmente competente di trasmettere una relazione esplicativa sulle condizioni del nucleo familiare in oggetto e ancora, può essere disposto l’affidamento del minore al servizio sociale per attività di rieducazione e, nei casi più gravi, si può disporre il collocamento del minore in comunità. È opportuno che per “condotta irregolare” deve intendersi non soltanto la condotta di dispersione scolastica o di comportamenti disfunzionali o aggressivi che il minore manifesta nei confronti dei pari e degli adulti, ma anche le ipotesi di comportamenti sintomatici della adesione del minore a ideali eticamente riprovevoli come l’esaltazione di noti boss mafiosi.

Un’iniziativa del genere, tuttavia, allo stato attuale la suddetta iniziativa sarebbe di fatto impraticabile a causa dei limiti di organico della magistratura minorile Il Tribunale di Palermo ha in organico solo nove magistrati che esercitano attività giurisdizionale civile e penale su un territorio che comprende le provincie di Palermo, Trapani e Agrigento. È agevolmente comprensibile che l’apertura di migliaia di nuovi procedimenti per l’applicazione di misure rieducative (nei termini sopra descritti) determinerebbe un ritardo dei tempi di intervento con gravi disfunzioni in un settore nel quale la risposta immediata di giustizia dovrebbe essere prioritaria, se non altro perché ascoltare un minore a diversi mesi di distanza da un evento disfunzionale che ha riguardato la sua famiglia vorrebbe dire trovarsi di fronte una persona diversa da quella che ha vissuto il suddetto evento.

Un altro ambito rieducativo percorribile riguarda i reati in materia di circolazione stradale: si potrebbe subordinare l’applicabilità degli istituti della irrilevanza del fatto, della messa alla prova e del perdono giudiziale alla frequentazione obbligatoria di corsi di educazione stradale e civica. Analogamente per i reati in materie di sostanze stupefacenti, si potrebbe subordinare l’applicabilità delle suddette misure premiali alla obbligatoria frequenza di percorsi presso SERD finalizzati al monitoraggio e recupero dall’uso di sostanze stupefacenti o alcoliche.

Infine, ma in realtà è prioritario, occorrerebbe istituzionalizzare gli interventi di incontro con gli studenti. Personalmente ho sperimentato che spiegando ai giovani i rischi di comportamenti violenti si pone in essere una attività di prevenzione generale persino superiore a quella connessa all’uso delle misure cautelari.

In materia di violenza di genere, ho sempre cercato di spiegare ai ragazzi la “tossicità” dei legami che generano dipendenze affettive, con conseguenze aberranti laddove una donna decida di interrompere una relazione. Ho cercato di spiegare ai giovani uomini che le donne non sono di nostra proprietà, come se fossero una moto o una automobile, che un uomo adulto deve essere in grado di elaborare adeguatamente un pur doloroso vissuto abbandonico. Che persino un rapporto sessuale è più gratificante laddove un uomo pensi al benessere della sua interlocutrice. E cerco di spiegare alle donne di guardarsi bene dagli uomini “sempre presenti”, di quelli che “io ci sarò sempre per te”, che inviano mille messaggi, perché in realtà non di presenza si tratta, né di accudimento, ma di controllo. Invito le giovani donne a diffidare degli uomini che alzano la voce per imporre il loro punto di vista e di quelli che fanno sesso senza neppure baciare la propria donna. Magari sembrerà tutto banale, me credo che si chiami educazione alla sana crescita.

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