Teatro Massimo, dopo ventitré anni torna a Palermo “Falstaff” di Giuseppe Verdi molto apprezzato dal pubblico
Il Teatro Massimo ha messo in scena in questi giorni, Falstaff di Giuseppe Verdi, un’opera che non veniva rappresentata a Palermo da ben ventitré anni e che aveva inaugurato lo stesso Teatro Massimo nel 1896.
Si tratta di un’opera buffa, genere non consueto per il grande Maestro, che Verdi scrisse quando era già anziano avvalendosi del libretto di Arrigo Boito. La trama si ispira alla commedia di Shakespeare Le allegre comari di Windsor che l’autore aveva scritto per accontentare la regina Elisabetta I, mostratasi particolarmente interessata al personaggio di Falstaff, presente nell’opera Enrico IV dello stesso drammaturgo.
Si dice che con questa ultima sua creazione Verdi abbia voluto dimostrare di essere in grado di comporre un’opera che facesse ridere il pubblico e non sempre piangere, ma in realtà si va oltre la risata e il divertimento e il protagonista, Falstaff, rappresenta un personaggio complesso ed interessante, così come lo è il rapporto fra questo e gli altri personaggi presenti nella commedia.
Falstaff è un anziano che si crede ancora giovane di spirito, gioca, beve, vuole godersi la vita e pensa di potere ancora sedurre due belle e ricche signore, regolarmente sposate, per soddisfare i propri desideri.
Le donne faranno finta, con la collaborazione dei mariti, di assecondare Falstaff ,per poi punirlo e bistrattarlo in più riprese, ma alla fine Falstaff scoprirà in parte lo scherzo e con il resto della compagnia concluderà che nella vita tutto nel mondo è burla e siamo tutti gabbati.
La trama è abbastanza semplice e tuttavia Verdi costruisce una musica complessa che presenta elementi innovativi per l’epoca e in definitiva anche per lui stesso. In alcuni tratti si notano melodie nuove e diverse che richiamano la musica, a quel tempo contemporanea, di Giacomo Puccini. Il coro non è protagonista come in altre sue opere ma subentra nel momento giusto verso l’epilogo della vicenda.
La fuga finale è un vero e proprio geniale testamento di Verdi, che decide di chiudere la sua vita artistica, con la ripetizione della stessa frase con note sovrapposte, a significare che tutto nella vita è un gioco e che la musica supera le parole.
Questo allestimento, per mano di Marina Bianchi, riprende quello del grande e compianto regista Luca Ronconi che lo aveva realizzato nel 2006 al Maggio Musicale.
La scena è forse un po’ troppo scarna, serve però a far concentrare l’attenzione sui protagonisti dell’opera e sui loro dialoghi, mentre la direzione d’orchestra di Daniel Orien è convincente e coinvolgente come sempre. I cantanti, per metà siciliani, si sono dimostrati all’altezza dell’occasione. In particolare un grande plauso va al nostro baritono Nicola Alaimo, perfettamente calato nel suo Falstaff, sia come attore che come cantante, sia nei momenti di quasi recitativo che in quelli di canto e nella fuga finale. La giovane Jessica Nuccio è bravissima nel ruolo di Nannetta ma brave sono anche Marianna Pizzolato nel ruolo di Mrs Quickly, Roberta Mantegna in quello di Alice e Jurgita Adamonyte in quello di Meg. Ottime anche le prestazioni dei cantanti nei ruoli maschili, da Giorgio Misseri (Fenton) a Gabriele Sagona (Pistola), da Saverio Fiore (Bardolfo) a Carlo Bosi (Cajus) e ad Alessandro Luongo (Ford).
In conclusione applausi convinti da parte del pubblico che è tornato a casa contento per l’esplosione di gioia della scena finale, che ci fa anche riflettere sul significato della vita e la sua caducità, e sulla leggerezza che dovremmo forse adottare in certi situazioni, sempre tenendo in conto che la musica ci salva sempre.
Dopo che un grande critico come Vincenzo Mollica è andato in pensione perché la RAI non chiama Delia Romano in sua sostituzione?