Violenza di genere: Dipendenza affettiva dal maltrattante, anche 50 anni prima di denunciare. Prosegue il ciclo formativo “Un altro me”

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Bisogno di essere accettati e desiderati da qualcuno anche a costo di subire violenza psicologica e fisica. Si chiama dipendenza affettiva: ecco perché il tema è drammatico.”  Ad affermarlo è Stefano Dell’Aera, che attualmente dirige l’UOC Dipendenze Patologiche all’ASP 4 di Enna.

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“Molte vittime di violenza incontrano difficoltà nel rendersi conto della propria condizione di vittime, tant’è che le loro relazioni malate durano in alcuni casi anni – spiega il gip Lirio Federico Conti – Si può addirittura arrivare a giustificare il comportamento violento o lesivo, per proteggere l’immagine del partner pur di non perderlo o per paura del giudizio degli altri. In un caso, addirittura, sono occorsi cinquant’anni prima che la donna vittima di maltrattamenti, una ultrasettantenne di un paesino dell’entroterra siciliano, riuscisse ad agire”.

Dell’Aera e Conti sono tra i relatori del ciclo formativo “Un altro me”,  rivolto a operatori del sociale, forze dell’ordine e magistrati per la prevenzione e gli interventi per gli uomini autori di maltrattamenti che è stato avviato a novembre (si concluderà a febbraio 2020). Mercoledì 4 dicembre, a partire dalle 9.30, al Centro di Accoglienza Padre Nostro di Brancaccio  (Ex Mulino del sale, via San Ciro n. 6 a Palermo), si svolgerà il terzo modulo del progetto formativo, quello dedicato agli aspetti clinici e socio-psicologici.  Tra i relatori, oltre a Conti e Dell’Aera, la psicoterapeuta Maria Luisa Mondello e la referente Cismai Sicilia (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia), Maria Luisa Benincasa. Introduce ai lavori Maria Grazia Patronaggio, dell’associazione Le Onde.

Per Dell’Aera, “servono un monitoraggio adeguato e  politiche di lungo periodo, perché la dipendenza affettiva, la cosiddetta love addiction, è un fenomeno sempre più diffuso ed è alla base della violenza, intesa in senso bidirezionale, in cui tutto viene scambiato per amore”.

“Sono tantissimi i casi in cui le donne maltrattate – aggiunge Conti – revocano le denunce per maltrattamenti, rimettono le querele, anche in dibattimento, a processi avviati. Lo fanno quasi sempre per evitare conseguenze più gravi in termini di ritorsione. Ciò ci dice che non basta la risposta repressiva del fenomeno, occorre una maggiore capacità di analisi per trovare gli strumenti più adeguati per la prevenzione, invece che correre ai ripari quando, ormai, la situazione è già compromessa”.

Conti avverte che “la violenza può non essere solo maschile: anche la donna può avere dei tratti di aggressività. Per questa concezione di violenza domestica nella nostra società, gli uomini tendono a essere messi in discussione e ciò può impedir loro di cercare aiuto. Molte di queste situazioni vengono fuori dalle cause civili di separazione, che non di rado sfociano in procedimenti penali”.

 “Un altro Me” nasce dall’incontro di due progetti dedicati alla prevenzione primaria nelle scuole e terziaria nei confronti dei maltrattanti autori di violenza di genere, finanziati dal Dipartimento delle Pari Opportunità: in  entrambi, infatti, l’Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna per la Sicilia è partner, ovvero il progetto “Messaggio corretto” e il progetto “C.I.MA. Centro di Interventi per la prevenzione e la presa in carico di uomini Maltrattanti”,  promossi rispettivamente dalla Coop Nuovi Sviluppi e dalla Fondazione Progetto Legalità onlus (il primo) e dalle Associazioni Centro di Accoglienza Padre Nostro e il Telefono Arcobaleno di Siracusa (il secondo) che hanno accolto l’invito a cooperare a tutto campo, mettendo a fattore comune esperienza e competenza acquisita nei diversi contesti d’intervento.

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