Il fascino del cinema muto e il verismo di Mascagni al Teatro Massimo di Palermo
La stagione invernale del Teatro Massimo di Palermo è stata quest’anno davvero interessante e di altissimo livello. Dal Guglielmo Tell a Fra’ Diavolo o a I Puritani il pubblico di appassionati (fedelissimi palermitani o turisti occasionali) può ritenersi soddisfatto e può ben sperare per i prossimi spettacoli autunnali già programmati.
L’altro giorno ho assistito a una doppia rappresentazione composta da Rapsodia Satanica e dalla ben nota ma sempre ammaliante Cavalleria Rusticana. Di solito quest’ultima opera viene tradizionalmente accoppiata ad un’altra altrettanto breve come I Pagliacci di Leoncavallo o l’angosciante Tabarro di Puccini.
Questa volta invece ci è stata riservata una piacevolissima sorpresa e nella prima parte abbiamo potuto ammirare un film nientepopodimeno che del 1915, muto ovviamente, realizzato da Nino Oxilia, un autore di film e di commedie morto a soli 28 anni sul fronte della prima guerra mondiale, e stupendamente musicato proprio da Mascagni.
Il film si chiama per l’appunto Rapsodia Satanica e la sceneggiatura di Alberto Fassini si rifaceva ad un soggetto del drammaturgo Fausto Maria Martini che, a sua volta, si era ispirato al tema faustiano di Goethe.
Qui il patto con il diavolo, in cambio della giovinezza, viene stretto da una donna, la nobile Alba di Oltrevita così chiamata, evidentemente, per simboleggiare la rinascita da un lato e l’inevitabile morte dall’altro. Alba, tornata giovane e bella, sarà contesa da due fratelli: Tristano e Sergio e uno dei due si ucciderà per l’amore non ricambiato verso di lei; l’altro, invece, susciterà in lei un nuovo sentimento e sarà la causa dell’inevitabile rottura del patto (l’impegno a non innamorarsi mai attraverso la rottura di una statuetta di Cupido).
Alla fine infatti Alba correrà incontro al suo Sergio vestita da sposa ma finirà tra le braccia del diavolo che l’avvolgerà nel suo mantello facendola ritornare vecchia e ponendo fine alla sua vita. Quello che mi ha colpito di questo film (che purtroppo non ci è pervenuto per intero ma che è stato ben ricostruito dalla cineteca di Bologna) è innanzitutto il suo magistrale restauro e la delicata colorazione a mano. Bravissimi gli attori fra i quali spicca la mitica attrice italiana del primo ‘900 Lyda Borrelli nella parte di Alba d’Oltrevita , stupenda la fotografia di Giorgio Ricci.
La cosa più emozionante e sorprendente è però la perfetta e minuziosa sincronizzazione fra la musica di Mascagni e l’azione del film. La musica si adatta perfettamente allo stato d’animo dei protagonisti del film e al luogo d’azione come una moderna colonna sonora e ciò è reso ancor più evidente dal “non parlato”.
L’Orchestra del Teatro Massimo, diretta da Fabrizio Maria Carminati, ha svolto questo non facile compito in maniera egregia e la messa in scena avrebbe meritato, a mio parere, qualche colpo di tosse in meno e qualche applauso in più. Non fosse altro che a titolo di ringraziamento per averci fatto conoscere ed apprezzare un lavoro del maestro Mascagni non molto conosciuto.
Super nota e sempre bella è la Cavalleria Rusticana rappresentata nella seconda parte dello spettacolo e il cui allestimento, compresa la regia della bravissima Marina Bianchi, era stato già eseguito a Palermo nel 2015. La storia si ispira alla novella di Verga che l’aveva già trasformata in dramma teatrale e, in ossequio al Verismo, ha per protagonista la gente umile di un villaggio siciliano del 1880 nella giornata di Pasqua.
I personaggi sono vittime della passione e Compare Alfio alla fine sarà “costretto “ a sfidare a duello e a uccidere Turiddu che aveva tradito la “disonorata” Santuzza (che si era data a lui non essendo ancora sposata) con la propria moglie Lola che in gioventù era stata fidanzata con Turiddu.
Dal punto di vista musicale l’opera è molto bella anche e soprattutto per le influenze wagneriane che indussero Mascagni a usare il Leitmotiv bellissimo e struggente e per la presenza del Coro di contadini che partecipa al dramma con ruolo da coprotagonista. La parte più bella, non a caso, è quella della processione ove il dolore e la rabbia di Santuzza, appena rifiutata da Turiddu, sono sostenuti dal coro in un crescendo che trascende le cose terrene e si innalza verso il cielo alla ricerca della redenzione divina.
I cantanti sono stati all’altezza della situazione e, fra tutti, segnalo, anche per la loro presenza scenica, Sonia Ganassi, mezzosoprano nel ruolo di Santuzza e il giovane baritono armeno Gevorg Hakobyan nelle vesti di Compare Alfio. Eccellente come sempre il coro del teatro Massimo diretto dal Maestro Piero Monti.
Alla fine applausi per tutti e qualche lacrimuccia suscitata più dallo struggente abbraccio di Turiddu alla mamma, a cui affida Santuzza, che non dalla notizia della sua morte che avviene fuori campo e che viene annunziata da una donna al grido di: Hanno ammazzato compare Turiddu!
Si certamente
alla fine della lettura di questa recensione….. applausi per Delia Romano, perché questa recensione ti fa vivere a occhi aperti gli spettacoli recensiti.