I moti dell’anima: fisica dei legami umani
I legami si muovono, come tutto ciò che esiste, e ciò che ci fa soffrire, più che l’evento in sé, è spesso la direzione che prende

Ci sono leggi, nella fisica, che sembrano nate per spiegare ben altro. Scriviamo formule per descrivere corpi in movimento, ma a volte quei corpi somigliano alle persone che ci attraversano durante la nostra vita. Parliamo di traiettorie, velocità, accelerazioni, e ci dimentichiamo che sono le stesse parole con cui potremmo raccontare un amore, una separazione, un ritorno. I legami si muovono, come tutto ciò che esiste, e ciò che ci fa soffrire, più che l’evento in sé, è spesso la direzione che prende.
Ci sono rapporti che scorrono diritti, regolari, come un moto rettilineo uniforme: sembrano stabili, sicuri, inarrestabili. Ma la linearità, in fisica come nei sentimenti, è spesso solo l’assenza di una forza. E quando la vita interviene con i suoi attriti, ci accorgiamo che anche ciò che sembrava eterno può semplicemente rallentare, spegnersi, fermarsi. Altri legami invece partono con uno slancio incontenibile, accelerano ogni giorno, bruciano le tappe. Sono corse senza freni, alimentate da una forza intensa e invisibile, fino a che non arriva un ostacolo, e l’impatto ci sbalza fuori dall’orbita. Ci sono poi relazioni che rallentano a poco a poco, come un corpo che perde velocità su una superficie ruvida senza esplodere e senza una vera rottura. Solo la graduale scomparsa del movimento, la distanza che si allunga mentre nessuno si accorge che il passo non è più lo stesso. E ci sono legami che girano in tondo, su se stessi, come un moto circolare: ruotano attorno a un centro che un tempo era chiaro, ma che ora è solo consuetudine.
A trattenerci in quell’orbita è una forza invisibile, centripeta, fatta di paure e di “non saprei dove altro andare”. A volte l’equilibrio regge, a volte no, e allora ci ritroviamo a volare via come pietre scagliate da una fionda che ha perso tensione. Ma non tutto è lineare o circolare, alcuni fili si muovono avanti e indietro, oscillando semplicemente. Una sorta di pathos che si allontana per poi tornare, come una marea emotiva. Spesso ci fanno soffrire, ma sono vere, anche senza costanza, ma sicuramente presenti dentro il nostro io più intimo. Sono i moti armonici del cuore: dove il punto d’equilibrio è instabile, ma reale. Così come ci sono anche amori che nascono con una traiettoria parabolica. Volano in alto, splendono, toccano il cielo. Poi cadono, nè per colpa nè tantomeno per sbaglio. Ma perché ogni parabola è scritta dalla gravità. Ci ricordano che anche le cose più belle hanno un punto di ritorno, e che non si misura l’amore dall’altezza del volo, ma dalla grazia dell’atterraggio. Infine, ci sono legami che non si lasciano spiegare. Che sembrano muoversi senza logica, urtarsi, respingersi, tornare. Caotici. Imprevedibili. Come particelle in un sistema complesso, dove ogni piccola variazione iniziale cambia l’intero futuro. E
ppure, anche nel caos, la fisica ci insegna che esistono strutture nascoste. Frattali. Geometrie dell’invisibile. Forse anche i cuori obbediscono a questo: un disordine che contiene, in fondo, un ordine più profondo. E allora capisci che non c’è nulla che accade per caso. Che ogni moto, ogni allontanamento, ogni incontro, ha una causa, una forza, un sistema di riferimento. Che a volte non è l’altro ad essere cambiato: siamo noi ad aver spostato il nostro asse. Siamo noi ad aver modificato il punto di osservazione. E non è l’amore ad essere finito: è il vettore a puntare altrove. In fondo, la fisica ci dice che nulla si muove da solo. Serve una forza. Una causa.
Un inizio. E forse anche una fine. Ma soprattutto ci ricorda che, senza un osservatore, nessun moto può essere descritto. Nessuna realtà può essere misurata. Nessuna verità può essere detta. E allora forse, la vera domanda da farsi, ogni volta che un legame ci confonde o ci spezza, non è “cosa sta succedendo”, ma: “da dove sto guardando?”. Perché è da lì che tutto cambia. Ed è lì che si nasconde, silenziosa, la possibilità di comprendere, di perdonare, di ricominciare. O, semplicemente, di lasciar andare. Ma con la grazia di chi sa che anche l’addio, se osservato con la giusta inclinazione, può essere parte della stessa equazione.