Intramoenia, Quici (CIMO-FESMED): “No alla stretta, così si allungano ulteriormente i tempi di attesa”

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Il sindacato dei medici boccia gli emendamenti presentati da FdI al Ddl Prestazioni sanitarie, che prevedono l’attivazione dell’intramoenia solo nel caso di saturazione delle agende: «Senza interventi strutturali impossibile ridurre le liste d’attesa»

foto fb

Guido Quici -presidente Cimo-Fesmed

Ancora un attacco all’intramoenia che, lo ripetiamo come un mantra, non è la causa delle liste d’attesa. Il riferimento è agli emendamenti presentati al Ddl Prestazioni sanitarie dalla deputata di Fratelli d’Italia Ylenja Lucaselli, che prevedono una stretta alla libera professione intramuraria: l’intramoenia sarebbe attivabile solo nel caso di completa saturazione delle agende per le prestazioni istituzionali. 

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«Se l’emendamento passasse, avrebbe come unico effetto un ulteriore allungamento dei tempi di attesa – dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED -. Ricordiamo ai più distratti, infatti, che i medici lavorano in intramoenia esclusivamente al di fuori del proprio orario di lavoro, quindi aggiungono, e non tolgono, tempo da dedicare ai pazienti. Con l’intramoenia le prestazioni sanitarie offerte aumentano, e non diminuiscono. Bloccare l’intramoenia vuol dire quindi far rientrare nelle liste d’attesa anche quei pazienti che preferirebbero ottenere le prestazioni in libera professione, magari perché coperti da un’assicurazione o perché desiderano essere seguiti da un determinato specialista. Con il risultato di allungare i tempi di attesa per tutti, o di incentivare ulteriormente il ricorso alla sanità privata. A meno che, viene da chiedersi, non sia proprio questo l’obiettivo ultimo per qualcuno».

«Ricordiamo inoltre che il costo della prestazione sostenuto dal paziente non finisce interamente nelle tasche del professionista, ma serve anche a finanziare il funzionamento dell’ospedale. Quindi il blocco dell’intramoenia comporterebbe altresì una riduzione delle entrate per le aziende sanitarie. Al medico, infatti, arriva il 30% del totale pagato dal paziente. Anche per questo, come certificato dall’ultima relazione annuale presentata qualche giorno fa al Parlamento dal Ministero della Salute, sono sempre meno i camici bianchi che decidono di optare per la libera professione intramuraria: in dieci anni il numero di medici che la esercitano è diminuito del 15%».

«Sono sicuramente necessari controlli e monitoraggi costanti dell’attività libero professionale intramuraria per evitare distorsioni del sistema a danno dei pazienti e del SSN, prevedendo anche pene severe per chi non rispetta le regole – specifica Quici -, ma non è accettabile ipotizzare una sospensione indiscriminata di un sistema che offre opportunità importanti sia ai pazienti che ai medici: qualora l’intramoenia venisse ulteriormente ostacolata, ancora più medici sarebbero pronti a fuggire dalla sanità pubblica, con il risultato di desertificare ulteriormente gli ospedali e quindi, paradossalmente, di allungare ancora di più i tempi di attesa».

«Se non si riaprono gli ambulatori, se non aumentano i posti letto e non si assume personale, l’offerta sanitaria sarà necessariamente ridotta e dunque le liste d’attesa saranno interminabili. E a nulla serviranno provvedimenti palliativi come quelli adottati ultimamente, in assenza di interventi strutturali. Non basta intraprendere la via più populistica e demagogica per risolvere il problema delle liste d’attesa – conclude Quici -. Servono visione, coraggio e risorse. E non sembra che l’attuale Governo ne abbia, proprio come tutti quelli che lo hanno preceduto».

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