Lo “sposta-poveri”, guida per cittadini eroici 

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Il trasporto pubblico a Palermo non è solo un mezzo per spostarsi. È un microcosmo, dove le classi sociali e le culture si mescolano in un calderone che potrebbe essere un documentario

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Lo sposta-poveri, guida per cittadini eroici Sali sull’autobus e inizia il viaggio. Non quello verso la tua destinazione, che è un miraggio tra ritardi e fermate fantasma, ma quello che ti porta a fare un’immersione nella fauna cittadina. C’è l’anziana con la borsa della spesa che si regge in piedi con la forza della disperazione, mentre qualche adolescente è troppo immerso nel suo telefono per notare il mondo. C’è la donna indiana in sari che sorride al figlio, e l’operaio stanco che fissa il vuoto dopo una lunga giornata. Qualcuno ascolta musica senza auricolari, qualcun altro bestemmia a mezza voce perché l’autista ha saltato la fermata. E poi ci sei tu, in bilico tra una curva presa come fosse un rally e un passeggero che ignora completamente il concetto di spazio personale.

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Il trasporto pubblico a Palermo non è solo un mezzo per spostarsi. È un microcosmo, dove le classi sociali e le culture si mescolano in un calderone che potrebbe essere un documentario. Più che un tragitto, è un’esperienza; più che un servizio, è un’avventura. Peccato che spesso somigli più a un test di resistenza fisica e psicologica. Vi è mai capitato di sentire qualcuno dire: «Guarda, sta passando lo sposta-poveri!»? Questa espressione, purtroppo sempre più comune, riflette una mentalità per cui il trasporto pubblico non è un’alternativa, ma una scelta obbligata per chi non può permettersi l’auto. Eppure, basterebbe guardarsi intorno per rendersi conto che su quei sedili si intrecciano storie di vita e culture che, più che limitare, arricchiscono la città. Il vero problema? Non è solo culturale, ma anche logistico. Le corse saltano, le attese sono interminabili, e gli autobus sembrano relitti di un’era passata. Chi prende l’autobus ogni giorno lo sa: partire all’orario giusto non significa arrivare all’orario giusto. Il tragitto è una roulette russa con la puntualità. Il tempo di attesa indicato sul tabellone digitale, quando funziona, è solo un’illusione.

Cinque minuti diventano dieci, dieci diventano venti, e poi l’autobus svanisce nel nulla, come inghiottito da un buco nero. E accanto a te si accumula una folla di pendolari con lo stesso sguardo rassegnato: quello di chi sa di non avere alcun controllo sul proprio destino. Se l’autobus arriva, non è detto che tu riesca a salirci. Le porte si aprono con un gemito stanco, e dentro è già pieno come una scatola di sardine. Ma c’è sempre chi sfida le leggi della fisica e si infila comunque, comprimendo i corpi in un Tetris umano. Così inizia il secondo livello dell’odissea: la resistenza fisica. Sei incastrato tra un tizio che non ha mai sentito parlare di deodorante e una signora che ti spinge con la borsa della spesa come se volesse abbattere un muro. Cerchi un appiglio, ma il palo più vicino è già occupato da mani sudate. Ti affidi all’equilibrio precario delle tue gambe mentre l’autista parte come se fosse al volante di una Formula 1. Una curva troppo stretta, e il tuo corpo viene catapultato contro qualcuno che non ha intenzione di cederti un millimetro. Se sei abbastanza fortunato da trovare un posto a sedere, la lotta non è finita.

Ora devi fare i conti con l’inquinamento acustico: chi ascolta musica senza cuffiette, il bambino che urla senza sosta, la conversazione telefonica in dialetto che si trascina sulla suocera che non sa cucinare. E intanto il traffico rende il percorso un’agonia. Tra automobilisti che parcheggiano come barbari e semafori rossi per l’eternità, ogni metro sembra un’impresa. Quando finalmente arrivi vicino alla tua fermata, scopri che l’autista ha deciso di non fermarsi. Forse perché nessuno ha prenotato in tempo, forse perché è in ritardo e deve recuperare, o forse, semplicemente, perché l’universo ha deciso di metterti alla prova. E così ti ritrovi a scendere due chilometri dopo, maledicendo il giorno in cui hai pensato che l’autobus fosse una buona idea. Poi, cammini sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente, mentre vedi passare il prossimo autobus, quello che avresti potuto prendere se il sistema funzionasse come nei paesi civili. Ma, in fondo, è proprio questo il bello del trasporto pubblico a Palermo: non è solo un modo per spostarsi, è un’esperienza estrema, un test di resistenza fisica e mentale, un viaggio nell’assurdo. E tu, che ogni giorno ci caschi di nuovo, sei il vero eroe di questa storia.

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