Il domino della crisi nata con Putin

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Tutto è nato con Putin, quando, non senza un suo, ragionamento, ha attaccato l’Ucraina. Da lì un terremoto sociale, economico, politico, che ha generato un effetto domino sul piano politico mondiale. A seguire c’è stato il 7 ottobre di Hamas e l’escalation navale nel golfo persico. Oggi Siria, ieri Corea del Sud, ma il gioco non si ferma, le tessere possono continuare a cadere fino al monte Titano di San Marino.

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Questo quadro di tensioni non poteva nascere su uno scenario geopolitico solido, ma la situazione era già compromessa, con un America in profondo declino di ruolo, tendente ad un isolazionismo aggressivo, ed un Europa in totale crisi d’identità, dopo anni di consociativismo e finta unanimità. Il gioco ha fatto cadere due delle tessere principali Francia e Germania, con Spagna e Italia che stanno in piedi ma non possono sostenere la frenata del domino, che con l’arrivo a gennaio del governo fuoco e fiamme di Trump non potrà che far cadere nuove posizioni.

Ma è la Russia la causa scatenante? La Russia era stata scelta qualche lustro fa come la fidanzata d’Europa, il principale fronte di investimenti di banche ed aziende, il principale alleato energetico con reti di gas e petrolio che intersecavano dal Caucaso fino al nostro vecchio continente. Addirittura il tedesco Schroeder diventava presidente di Gazprom, Berlusconi in dacia e colbacco. Poi cosa è successo? Chi si è messo di traverso con un asse globale che era eurasiatico, mettendo insieme manifatturiero e materie prime, finanza e mercati? Chi aveva interessi a spezzare questo contesto che era presente già al congresso di Vienna, 1814-1815, la prima conferenza europea, con la Russia presente? Certo ai quei tempi c’erano Talleyrand e Wellington, gente da libri di Storia, l’Italia e la Germania non c’erano, se non per la Prussia. Ed ovviamente, guarda caso, la Nato non esisteva, né tanto meno l’influenza americana. Il mondo era di noi europei, il resto del pianeta ci seguiva come dei follower odierni.

Come siamo finiti così fuori focus? Dopo secoli di Cattedrali e fabricae, università millenarie, Oxford e Bologna, Shakespeare e Kant, Rousseau e Nietzsche? Chi ha paura e invidia di questa vecchia, grassa, indolente, incerta, Europa? Per contraddizione in termini tutto il mondo del Pacifico. Dove tutto è calmo e laborioso da quell’ultimo elicottero che si alzava da un tetto di Saigon. A meno che la prossima tessera del domino non sia Taiwan. 

Ma poniamoci una domanda. Perché questo gioco di tessere è non un conflitto mondiale? Perché tante guerre regionali e non una unitaria come le due del secolo scorso? Perché nel secolo scorso,  fino al 1945, non c’erano le multinazionali, i fondi d’investimento e i fondi sovrani, o derivati e le cripto valute. Conviene a queste strutture, che si nutrono di cittadini consumatori, un conflitto mondiale che contragga il consumo globale? O non è meglio delle tensioni locali che innalzano i prezzi, e soprattutto i margini, in alcune zone? Tensione dopo tensione verifichiamo che alcune quotazioni, alcuni dividendi, alcune economie settoriali, sono volate, altre, con conseguenti scommesse al ribasso, sono scese, vedi automotive, considerevolmente. La politica arranca, ma l’economia non dorme. L’Europa ha bisogno di una campana, potrebbe essere Notre Dame, se li ci fossero dei Lumi accesi, che la svegli. Da troppo tempo dorme il sonno dell’ignavia.

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