Palermo, una città alla deriva: “J’accuse Ollando”

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Leoluca Orlando

Una volta Palermo, la Sicilia, era laboratorio. Oggi con personaggi imbolsiti, attaccati ai loro sempiterni ruoli, all’improcrastinabilità del loro sopravvivere, a scapito degli altri, tutto questo sa di bottega degli orrori e del decadimento in salsa retrò. Se vediamo la generazione ancora al comando dell’isola, indipendentemente dalla collocazione politica, notiamo che sono buona parte della stessa generazione. Una generazione che vuole galleggiare su un’isola che, per permettere a loro di esistere, sprofonda.
Di questa generazione il campione più longevo al potere è senza dubbio Leoluca Orlando, il “Professorino”, come veniva chiamato nei primi anni ottanta, di Filaga. Mentre i Corleonesi sbarcavano in città con la forza delle armi, Lui, provenendo da contrada vicina, ma con passaggio catartico in Germania, approda a Palazzo delle Aquile con la forza di un esausta DC. E da lì il nostro, pur se spinto da Salvo Lima a quello scranno, lavora per demolire tutti i democristiani che potevano impensierirlo. A cominciare dalla Pucci, donna di rigore e concretezza. In quel preciso contesto storico lui potendosi sostituire al potere poteva scegliere due strade. Una comportava un costante impegno e fatica. Cioè sostituirsi a Ciancimino l’urbanista del sacco di Palermo ma anche di una città nuova, oltre viale Lazio, che non è più brutta o più bella di tante città, sostanzialmente anonima. Poteva diventare un “Urbanista Illuminato”, realizzando un piano regolatore di eccellenza e di sviluppo, che poteva far crescere Palermo al pari di tante città europee. Come Malaga, Siviglia, Marsiglia, Bonn, Valencia, Goteborg. Poteva riagganciare Palermo alla contemporaneità, come quando fu avanguardia agli inizi del 900, al tempo dei Florio e dell’Art Nouveau.

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Lui, in carenza di consenso, non avendo un suo esercito elettorale come gli altri democristiani, scelse invece che a Ciancimino, sostituirsi al Conte Cassina, cliente di suo padre Orlando Cascio, e ad i suoi sodali. Demolì pezzo pezzo tutte le società private di servizi a rete in città e si sostituì con logiche di precariato pubblico nello svolgimento dei servizi del Comune. E così costruì l’armata “Orlandoleone” che produce questo enorme degrado di cui la città soffre.
D’altra parte questo esercito di dipendenti delle municipalizzate già lo votano, cosa peraltro faticosa, perché dovrebbero pure ammazzarsi di fatica a lavorare per i cittadini di questa infelice città.
Lo scambio lavoro-voto non è stato scalfito nemmeno dal centrodestra al governo. Ci si è limitati a manutenzionare la macchina clientelare e a riconsegnargliela dopo un decennio. Un noleggio, di fatto, a lungo termine.
Oggi questo patto, di voto di scambio in effetti, scellerato su larga scala, ha prodotto il declino di questa città, imbellettato da archetipi, vuoti di contenuti, quali il centro storico, degradato ancora in larga parte, più grande d’Europa, il Teatro Massimo, che per inciso fu costruito dal Basile, non da Arcuri, la Primavera di Palermo e la ZTL, senza servizi e decoro, più ingombrante del mondo.
Poteva essere un Sindaco illuminato e si è trasformato nel Leviatano, di cui mi raccontava da ragazzo, un mostro bicefalo di potere temporale ed ideologico.
Oggi che questo declino, geopolitico e personale, è chiaro, il Dioscuro di Filaga immagina una solita “exit strategy”, distruggere il campo del centrosinistra regionale. Dopo aver ridicolizzato il PD, si riscopre tesserato e membro della direzione. E lo dirotterà, come suo costume, lanciandosi come un Sancho Panza, perché dello ieratico Don Chisciotte non ha le fattezze, nella guerra dei mulini a vento delle elezioni regionali. L’altra volta lo ha fatto per interposta persona, il buon e perdente Micari, oggi potrebbe essere Lui stesso a riprovarci, evitando il cerino del fallimento delle sue partecipate, e portando all’ultimo sacrificio, del suo altare, il centrosinistra isolano. Un sacrificio che sarà ripagato con un immune scranno romano in caso di sconfitta.
Ai posteri l’ardua sentenza, a noi contemporanei palermitani una città distrutta e depressa.

Giovanni Pizzo

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