Dopo i mandorli ed i ciliegi è iniziata la fioritura del Pruno. Sarà la pandemia che ha tolto i freni inibitori o la variante africana ma in Sicilia è tutto un fluorilegio di epiteti e frasi di altissimo valore istituzionale e pedagogico.

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Anche i più british si scatenano in metafore ed epiteti del miglior galateo istituzionale. C’è chi vorrebbe, in un impeto eracleo, ammazzare qualcuno, chi allude a sbiancamenti retrospettivi, chi fasciato dal tricolore esplode nel vaffa nazionale, e chi, nel più naif dolce stil novo palermitano, evoca la suzione del Pruno.

Il Pruno, questa effige simbiotica era, nei ricordi delle medie innominato. Poi con fare goliardico la sua evocazione al liceo, registrava il passaggio all’età adulta, in cui si poteva parlare sfrontatamente di sesso, orale in questo caso, una liberazione del pensiero, addomesticato dai genitori e magari dai gesuiti.

Oggi, anche a causa del prolungato soggiorno obbligato in casa ed in ufficio, diventa piccolo lessico istituzionale. Certamente meno ipocrita del “Caro Sindaco” o del “Esimio Assessore”.

La Politica siciliana ai tempi del frutto proibito è certamente più vicina al volgo di quella di una volta, non vuole distinguersi da esso, vuole identificarsi, se ne facciano una ragione anziani mentori e milioni di maestri ed educatori.

Trattasi di repubblica del Pruno.

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