“La funzione giurisdizionale non è un potere, ma è un servizio che siamo tenuti a rendere ai cittadini”

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Nicola Aiello

Leggo di un documento sottoscritto da un certo numero di colleghi e diretto al Presidente della Repubblica. Si auspica una riforma del sistema di nomina dei consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura che preveda la scelta per sorteggio dei componenti stessi.
Non mi trovo del tutto d’accordo per due ragioni: non risolverebbe il problema della possibile inadeguatezza di componenti del CSM sorteggiati, i quali, potrebbero persino coniugare la loro eventuale inadeguatezza con difetti peggiori. Io credo che il problema vada affrontato a monte, poiché è un problema di formazione culturale e ideologica di alcuni magistrati.
In primo luogo dovremmo ricordare sempre tutti, e con particolare rigore, che la funzione giurisdizionale non è un potere, ma è un servizio che siamo tenuti a rendere ai cittadini, in nome di quel Popolo Italiano che solennemente invochiamo alla lettura dei dispositivi delle sentenze.
Sarebbe sufficiente ricordare questo per dedurne che siamo tenuti come gli altri a rispettare le regole, quelle codificate, quelle di buona educazione e di umanità, di buon senso. Non possiamo cadere nell’ossimoro di punire le violazioni di legge e porle in essere percorrendo scorciatoie carrieristiche.
La funzione giurisdizionale è particolarmente delicata poiché incide pesantemente sui diritti e le libertà dei cittadini, beni preziosi e costituzionalmente garantiti. E’ una funzione che va affidata a giudici seri, laboriosi, equilibrati e dotati di buon senso.
I recenti casi di cronaca giudiziaria costituiscono esclusivamente l’apice di una disfunzione che, a mio modesto avviso è l’effetto di una pluralità di cause, non ultima, l’eccesso di autoreferenzialità dei magistrati.
E’ vero, nel giudicare dobbiamo prescindere dalla ricerca del consenso popolare, perché in caso contrario sbaglieremmo, ma non basta. Occorre lavorare in silenzio, negli uffici giudiziari, praticando il massimo rispetto per le parti processuali, che siano pubblici ministeri o avvocati e per gli esseri umani che ci troviamo a giudicare.
Scriveva Gesualdo Bufalino: “Un uomo che giudica un altro uomo? Mi farebbe ridere se non facesse piangere, ma è tanto impossibile, quanto è necessario”.
Queste parole dovremmo ricordare a noi stessi (espressione cara alla classe forense), quando ci ritiriamo in camera di consiglio prima di deliberare.
Non dovremmo trascurare mai l’esigenza di coltivare il dubbio, di porre in discussioni le nostre originarie convinzioni quando un teste o un documento può farci ricredere. Non dovremmo mai cedere alle lusinghe della notorietà e dell’illusione dell’onnipotenza.
Ventisei anni fa ho iniziato a servire lo Stato esercitando le funzioni di pubblico ministero e ho temuto il rischio che il mio narcisismo esistenziale, le debolezze di un giovane magistrato di ventisei anni, potessero distrarmi dalla rigorosa attenzione che va riservata alla lettura dei documenti processuali propedeutici alla applicazione di una misura cautelare o a una richiesta di condanna. E ancora oggi, prima di ogni sentenza cerco di ascoltare, di riflettere, di valutare, per limitare quanto più possibile i miei errori.
Non ho fatto, né farò mai una domanda per un ruolo direttivo, poiché mi piace fare il giudice, pur ammirando coloro che hanno propensioni organizzative o direttive.
Per recuperare credibilità ciascuno di noi dovrebbe riflettere sui propri errori, accettando un sistema di controllo di eventuali inefficienze o superficialità. Il tema ovviamente è assai delicato, poiché il rischio evidente è quello di contaminare l’esercizio della funzione giurisdizionale rendendolo permeabile a strumenti di ricatto e di pressione ab externo.
Quello che è certo è che non possiamo trincerarci dietro l’insindacabilità del merito per giustificare errori non giustificabili e uno di tali errori, a mio avviso, è quello di ritenersi espressione di un potere. No, noi siamo espressione di una funzione che fa resa da cittadini che hanno superato un concorso per magistrato.

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