Il “deserto dei tartari” di Leoluca Orlando
“Andrò avanti anche da solo”. Così l’ufficiale Leoluca Drogo-Orlando dichiarò dalla fortezza Bastiani del Comune.
I suoi compagni d’arme, il caporal maggiore Catania ed il maresciallo Giambrone si stavano arrendendo, dopo anni di inutile presidio delle garritte scrostate. L’alto comando del regno progressista aveva coniato il nuovo slogan “Campo largo”. Solo che li alla fortezza delle Aquile l’unico campo pieno di affollamento era il Campo Santo. Il caporale Catania si era ammutinato e Drogo Orlando scrutava fiero nella sua solitudine la pianura desertica dove da anni aspettava il nemico, i tartari mafiosi.
Quelli da oltre trent’anni, come il periodo descritto dal romanzo, erano, essendo un popolo nomade, emigrati al nord, come i più fortunati cugini mongoli ‘ndranghetisti.
Ma lui il tenente Drogo-Orlando non smontava a la sua guardia, gli aveva dedicato una vita di immensi sacrifici, per lui, ma soprattutto per gli altri.
La vera attesa del Drogo di Buzzati era la morte da accogliere, dopo un tran tran logorante di una città, con dignità.
Una vita, quella del nostro tenente Orlando, a scrutare il deserto di una città costretta a una decrescita infelice.