Il Teatro Massimo di Palermo inaugura la stagione con Parsifal di Richard Wagner
La stagione del Teatro Massimo di Palermo si è aperta quest’anno con Parsifal di Richard Wagner, un’opera maestosa che l’autore completò durante il suo soggiorno a Palermo e che rappresenta una sorta di prequel rispetto a Lohengrin, altro capolavoro wagneriano che ha per protagonista il figlio di Parsifal.
E’ l’ultima opera del grande musicista tedesco e prima di ora era stata rappresentata a Palermo solo due volte, nel 1914 in italiano, secondo gli usi del tempo, e nel 1955.in lingua originale.
Per questo motivo c’era molta attesa nei confronti di questo spettacolo anche per la curiosità che sempre suscitano le regie di Graham Wick che già aveva realizzato pochi anni fa le meravigliose quattro opere del cosiddetto Ring: L’oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido e Il Crepuscolo degli Dei.
In quelle opere Wick aveva si attualizzato le vicende umane, di Storia mista a Mito, riguardanti Brunilde e seguaci, ma il risultato era stato armonico e convincente. Per cui, per esempio, se per salire sulla Valhalla gli Dei prendevano l’ascensore, questo tutto sommato con contrastava con la musica sublime di Wagner e risultava abbastanza credibile perché pur sempre di ascesa si parlava.
Stavolta invece, l’idea di Wick, sicuramente originale e aderente alla nostra attualità, convince parzialmente perché, pur risultando avvincente e ben fatta (d’altronde parliamo di un grande regista), appare spesso stridente rispetto alla musica e al canto wagneriano e ancor di più rispetto alla vicenda da lui narrata.
I cavalieri di re Artù sono nell’immaginario collettivo quelli della Spada nella roccia e di Excalibur per cui può risultare arduo accettare la convivenza fra una musica pensata per una saga mitologica, rispetto alla violenza e alle barbarie delle recenti guerre di religione a cui sembra che Wick si riferisca. La scelta della scena nuda poi, distrae molto lo spettatore che si vede costretto a guardare tecnici che passano e carrucole che scendono, mentre cerca di immedesimarsi nell’opera che sta vivendo.
Ci sono però dei momenti molto belli, specie nel secondo atto che è quello dell’amore e della seduzione, ove le donne con pareo a fiori risultano in armonia con la scena che si sta svolgendo.
Nel complesso comunque si è trattato di uno spettacolo di ben cinque ore sontuoso, impreziosito sicuramente dal Coro diretto dal maestro Ciro Visco e da quello di voci bianche diretto da Salvatore Punturo. Ottime le prove dei cantanti fra cui spicca su tutte il soprano Catherine Hunold nel difficile ruolo di Kundry.
Efficace la prova del nuovo direttore musicale del teatro, Omer Meir Wellber, che alla fine ha portato tutti gli orchestrali sul palco per ricevere i prolungati applausi del pubblico presente, a dimostrazione del fatto che l’impegno profuso nella realizzazione di un’opera così difficile e la musica meravigliosa vincono sempre.