Emergenza idrica, a Palermo si aspetta “Godot”: opere ancora ferme e governance Amap scaduta
“Corsi e ricorsi storici di vichiana memoria”. Potremmo sintetizzare così il quadro della crisi idrica che sta mettendo in ginocchio la Sicilia ed in particolare il capoluogo. Al di là della prolungata carenza di piogge la componente che maggiormente penalizza l’isola è l’atavico gap infrastrutturale e una gestione delle risorse idriche poco lungimirante. Eppure tranne la provincia di Messina, tutte le province della Sicilia ospitano dighe e bacini artificiali ma questo potenziale è anche in gran parte vanificato da una rete colabrodo che fa disperdere ingenti quantitativi di acqua. L’isola può vantare ben 41 dighe in esercizio la cui capacità è di circa 1,12 miliardi di metri cubi con 169 addetti che lavorano a vario titolo nella rete per garantire il funzionamento. Il “punctum dolens” è rappresentato dalla riduzione del 25 per cento della capacità degli invasi siciliani a causa del progressivo accumulo sui fondali dei detriti trasportati dalle acque piovane attraverso i canali di scolo. A questo si aggiunge il fatto che il Servizio nazionale dighe non autorizza l’invasamento secondo la capacità massima. Inoltre, sul 51% del volume complessivo di queste acque gestito direttamente dalla Regione, pari a circa 578 milioni di metri cubi, il 28%, ovvero 161 milioni di metri cubi, non è autorizzato. Da ciò si evince che la Regione nelle dighe che gestisce direttamente può raccogliere un massimo di 417 milioni di metri cubi d’acqua, arrivando al paradosso di aprire le paratie e disperdere l’acqua, nel caso in cui l’acqua delle dighe superi il volume autorizzato.
“Ci sono risorse per 1 miliardo e 200 milioni nel masterplan del Patto per il Sud, per depuratori e infrastrutture, somme approvate dalla Regione siciliana un anno fa, con la delibera 20 del 18 gennaio 2017. Cosa si sta facendo? Nulla? E’ solo un effetto annuncio?”. Parte da questo dato la denuncia fatta dal segretario Cgil Palermo Enzo Campo nel corso della conferenza stampa sull’emergenza idrica fatta oggi nella sede del sindacato.
Nel masterplan, a valere su risorse Fsc 2014/2010, per reti idriche, dighe e acquedotti, sono previsti 42 milioni, e per le infrastrutture idriche e irrigue c’è una somma stanziata di 52 milioni. “Non abbiamo notizie né per quanto riguarda i lavori di dighe e acquedotti – ha denunciato Mario Ridulfo, della segreteria Cgil Palermo – né per le altre opere previste tra gli interventi strategici legati all’ambiente, come per il rischio alluvioni, con 115 milioni di euro assegnati, e per il rischio idrogeologico, con 253 milioni di euro di risorse destinate”.
“Tra gli interventi ancora fermi del Piano triennale delle Opere pubbliche per Palermo ci sono anche le sottoreti di Boccadifalco, per 7 milioni di euro, la sottorete Villagrazia, 10 milioni e 200 mila euro, che dovevano entrambe partire nel 2017, e la sottorete Brancaccio-Villagrazia, opera da 30 milioni di euro, la cui realizzazione è prevista per il 2018. Quartieri in cui l’acqua non arriva già adesso ogni giorno”, aggiungono Campo e Ridulfo.
La Cgil, nel corso della conferenza stampa, ha posto anche anche un problema di governance dell’Amap: “Al sindaco Orlando chiediamo che l’Amap sia messa nelle condizioni di operare nel pieno delle sue competenze – aggiunge Enzo Campo – La crisi idrica non può essere affrontata da un’azienda che da 5 anni non ha un direttore generale e il cui consiglio d’amministrazione è scaduto dal 5 luglio del 2017. Soprattutto tenendo conto del fatto che l’azienda, da quando ha rilevato Aps, ha assunto un ruolo sovracomunale, a carattere provinciale”.
Nell’attesa dei turni, di fatto il razionamento a Palermo è già partito. Da fine gennaio a Palermo la pressione si è abbassata ed è diminuita l’acqua messa in rete, si è passati da 2.700 litri al secondo a 2.300 litri al secondo. E gli effetti si sentono: dalle segnalazioni raccolte dal sindacato anche in alcune zone del entro storico l’acqua diretta non arriva più ogni giorno dai rubinetti.
Dare seguito subito al piano di requisizione di tutti i pozzi. E’ quanto chiede la Filctem Cgil Palermo, secondo la quale la crisi idrica in città si può evitare ricorrendo, nell’immediato, all’utilizzo delle acque del sottosuolo, requisendo tutti i pozzi e le sorgenti che, complessivamente, in tutta la provincia hanno una portata all’incirca di 4.530,41 litri al secondo. Questi i dati: i 27 pozzi della sola città di Palermo assicurano, allo stato attuale, una portata di 864,50 litri al secondo e una disponibilità per abitante di 109,84 litri al giorno. E 162 i pozzi nella provincia, per un totale di 1.242,34 litri al secondo, garantirebbero una disponibilità per abitante di 85,87 litri al giorno. Le sorgenti in tutta la Provincia, comprese Scillato (mediamente 700 litri al secondo) e Presidiana (mediamente 700 litri al secondo), hanno una portata di 2.373,07 litri al secondo.
“Se si considera che la popolazione residente negli 82 comuni della Provincia di Palermo secondo il dato Istat del 2014 è pari a 1.276.525 – dichiara il segretario generale Francesco Lannino – e il fabbisogno idrico giornaliero per abitante è di circa 210 litri, ne consegue che il fabbisogno complessivo è di 268.070.250 litri giornalieri, equivalenti al fabbisogno al minuto/secondo di 3.102,6 litri/secondo, ovvero ampiamente soddisfatto dalla portata delle acque delle sorgenti e dei pozzi che come spiegato al momento attuale è di 4.530,41 litri al secondo”.
“La scarsità dell’acqua degli invasi dunque – aggiunge Lannino – la si può compensare esclusivamente ricorrendo all’utilizzo dei pozzi e delle sorgenti, eludendo i fantasmagorici dissalatori, che richiedono anni per essere costruiti, accrescono le diseconomie dei costi del servizio idrico integrato e peggiorano la qualità dell’acqua. Utilizzando le risorse già previste, non è più procrastinabile l’efficientamento degli acquedotti, poiché è del tutto evidente che in una situazione emergenziale è ancora più intollerabile l’abnorme perdita dell’acqua nelle reti, che in alcune parti della città, dove non sono state completate le sottoreti, e in molti Comuni della Provincia, raggiungono addirittura punte del 70 per cento”.
E la Cgil denuncia ancora la vicenda di Scillato, oggetto di un intervento per un suo utilizzo parziale fatto nell’aprile del 2017, costato 1 milione e 300 mila euro. “La crisi idrica è iniziata più di un anno fa. Non avere messo totalmente in funzione Scillato, da cui si sarebbero presi 700 litri al secondo, è stato un errore: non si sarebbero svuotati gli invasi. Dal 2007, senza l’acqua da Scillato, si supplisce con la diga Rosamarina. Solo nel 2017, per sollevare l’acqua dalla diga Rosamarina e portarla in città si sono spesi 2 milioni di energia elettrica. In pratica la metà del costo del By-Pass, risolutivo, valutato in 4 milioni 880 mila euro”. Il By-Pass sull’acquedotto di Scillato è un intervento previsto in contrada Burgitabus e Scacccciapidocchi, ricadente nei comuni di Cerda e Termini Imerese. In una nota del 31 luglio 2014 inviata all’ufficio Urbanistica, la Regione comunica al Comune che c’è un finanziamento disponibile di 3.407.00 (delibera 217 del 27 giugno 2013). Si chiede di dare conferma della volontà di far attuare l’intervento al Comune o all’Amap. Che risposta ha dato il Comune? Non è mai arrivata. L’opera per la realizzazione del by pass è tuttora prevista nel Piano Triennale delle Opere pubbliche del Comune 2016-2018 con uno stanziamento di 7 milioni di euro. Molti invasi intanto sono già fuori uso. La Filctem e la Fillea sollecitano le opere di manutenzioni: “E’ l’occasione per pulire i bacini, coperti al 10 per cento di fango. Svuotandoli dal fango, la capienza aumenterebbe”. La Flai Cgil denuncia le perdite e le condizioni fatiscenti dell’invaso Poma, sul fiume Jato, realizzato per i terreni ricadenti nella zona di Partinico, la cui acqua è prelevata dall’Amap per Palermo. “Le rotture – dice il segretario Fazzese – causano perdite d’acqua di circa il 40 per cento, ogni anno, poiché non definitivi, si rinnovano gli interventi di riparazione per tappare le falle. La disponibilità sarebbe di 17 milioni di metri cubi d’acqua oggi ridotta a 9 milioni a causa delle perdite strutturali della rete. In maniera disinvolta si è proceduto a un prelievo da parte di Amap di circa 24 milioni mentre il prelievo irriguo è rimasto di 9 milioni”.
Intanto, il Comune di Palermo che, nei giorni scorsi, ha annunciato il razionamento (ogni tre giorni) dell’acqua ai cittadini, lascia che finiscano in mare 350 litri di acqua al secondo della sorgente di Scillato (la condotta è spezzata da una frana avvenuta nel 2009 che ancora non è stata riparata, nonostante l’Amap abbia un progetto pronto che prevede la realizzazione di un bypass per collegare l’acquedotto di Scillato a Palermo) e riversa in mare circa 500 litri di acqua al secondo del depuratore di Acqua dei Corsari. Per non parlare della mancata utilizzazione degli impianti di sollevamento realizzati lungo i corsi d’acqua: Himera dove c’è anche un potabilizzatore e lungo i fiumi Eleuterio, Iato e Oreto.
“Tornare dopo anni al razionamento dell’acqua non solo è mortificante per la città – tuona il consigliere comunale Fabrizio Ferrandelli – ma dimostra una mancanza di programmazione e gestione delle risorse. Ci sono infatti finanziamenti europei e regionali a cui si può attingere, e non si capisce come mai l’amministrazione sembra non tenerne conto”. “Ritengo che questa amministrazione debba assumersi le proprie responsabilità. È finito il tempo delle promesse e dei proclami. Che si faccia almeno chiarezza sulle reali condizioni del sistema idrico cittadino. Per questo motivo ho chiesto e ottenuto un’audizione con i vertici dell’Amap: per avere quelle risposte che ai cittadini vengono ancora negate”.
“Ventotto interventi sui bacini siciliani programmati nell’elenco delle opere previste dal Patto per la Sicilia – evidenzia l’eurodeputato del M5S Ignazio Corrao – in realtà non sono mai stati avviati, nonostante i primi cantieri sarebbero dovuti partire all’inizio del 2017. Gli invasi sono pieni di detriti e fango perché non hanno mai ricevuto la necessaria manutenzione e quindi per sicurezza, l’acqua in essi contenuta, viene fatta defluire. Morale, con l’acqua in mare, finiscono anche 40 milioni di euro. La situazione è preoccupante non solo dal punto di vista degli effetti attuali, ma anche dal punto di vista del mancato rispetto degli impegni programmati e spacciati puntualmente come risolutivi. Mentre Palermo e la Sicilia rischiano ancora la sete”. “E’ paradossale – sottolinea Giampiero Trizzino parlamentare regionale del M5S, componente della commissione Ambiente e territorio – che Palermo si gonfia il petto come Capitale della Cultura, ma per servizi idrici, fa concorrenza ad un paese del terzo mondo. Questi dati dimostrano che in Sicilia – conclude – non solo l’acqua c’è ma che per sciatteria e inefficienza si perde”. Secondo la Cgil, le cause dell’emergenza nella città di Palermo e nella provincia sono da ricercare nell’assenza di un governo unitario delle risorse idriche del territorio e nell’inadeguatezza della programmazione degli investimenti per ristrutturare e ammodernare impianti, asset e processi produttivi. Dopo un rimpallo di responsabilità tra governo regionale e amministrazione comunale di Palermo, per fare solo un esempio, si è riusciti nello scorso marzo 2017 a riparare parzialmente l’acquedotto di Scillato recuperando all’incirca 350 litri al secondo secondo. Ne mancano altri 350 litri al secondo, che – osservano Cgil e Filctem – dovrebbero essere utilizzati al più presto per arrivare alla portata che garantisca l’erogazione dell’acqua agli utenti senza soluzione di continuità. “La scandalosa vicenda del guasto sull’acquedotto di Scillato – dice il segretario della Filctem Francesco Lannino – fu denunciata dalla Filctem e dalla Cgil di Palermo in tempi non sospetti, nel lontano 12 giugno 2010. Ben 700 litri di acqua al secondo, di ottima qualità, dispersi nell’ambiente, che potevano arrivare alla città per caduta, senza alcun costo di energia elettrica e preservando, in un’ottica di elementare programmazione, le scorte dei bacini, fondamentali per prevenire ed eventualmente gestire tranquillamente le emergenze”. “In Sicilia – aggiunge Lannino – le disposizioni in materia di gestione unitaria del servizio idrico integrato (legge 36 del ’94 e integrazioni) non trovano applicazione in alcuna Provincia. Di conseguenza permane la frammentazione delle gestioni, l’uso inefficiente delle risorse idriche e il ricorso alle situazioni emergenziali. Si ha la sensazione che la politica regionale sia debole e abbia difficoltà a combattere e vincere le lobby di interesse privato e le spinte corporative che di fatto impediscono la realizzazione dei processi unitari in materia di gestione dei servizi idrici”.
Intanto, il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza per il settore idrico in provincia di Palermo e per rifiuti urbani in tutta l’Isola. Al presidente della Regione Musumeci l’arduo compito di fronteggiare e risolvere l’emergenza idrica che ha riportato Palermo indietro di trent’anni.