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Affondato nel porto di Bengasi in Libia il motopesca mazarese “Daniela L” sequestrato nel 2012. Il presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu Tumbiolo: “E’ un atto di guerra”

Se ancora molti non la definiscono una vera guerra oggi manca davverso poco. Un conflitto iniziato oltre cinquant’anni fa che nel contesto contemporaneo assume diversi connotati all’interno della crisi del Paesi del Nord Africa. E’ la cosiddetta “guerra del pesce” con oltre 100 milioni di danni per la marineria siciliana, 300 tra fermi e sequestri di pescherecci fatti dalle autorità libiche, tunisine, egiziane e algerine, sei confische, 27 feriti e tre morti.  Ultimo atto di questo conflitto che dura da mezzo secolo, è stato l’affondamento nel porto di Bengasi in Libia del motopesca “Daniela L” sequestrato da un gruppo di miliziani armati nell’ottobre 2012, in acque internazionali a 38 miglia dalle coste libiche con atto di vera e propria pirateria.



La drammatica sequenza dei fotogrammi relativa all’affondamento, è stata recapitata oggi da Bengasi al presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu, Giovanni Tumbiolo che dalle prime ore del sequestro ha seguito da vicino la complessa vicenda. Il numero uno del Distretto con una nota ha immediatamente informato, trasmettendo le immagini, il presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni.



Tumbiolo, con il sostegno della Farnesina e grazie alla sensibilità e professionalità della Diplomazia italiana, è intervenuto a più riprese per la liberazione dei pescatori e, con il sostegno della Regione Siciliana, per alleviare il gravoso nocumento arrecato alle 30 famiglie direttamente legate all’attività del peschereccio. Ha pure rivolto ripetuti appelli alle competenti autorità nazionali della pesca al fine di limitare il grave danno causato all’armatore dall’ingiusto sequestro. “Ma la leggerezza e la sciatteria di alcuni ambienti governativi – evidenzia Tumbiolo –  hanno aggravato il danno mettendo la società armatoriale a rischio di fallimento”.



Nella nota a Gentiloni si legge: “Questo, Signor Presidente, è solo l’ultimo atto di una guerra dimenticata, guardata talvolta dalle istituzioni come se fosse una guerra privata fra miliziani e questa comunità marinara che, colpita alle spalle persino dal fuoco amico di pezzi delle istituzioni, subisce e combatte da sola”.



I due fronti più caldi sono quelli tunisino e libico: con la Tunisia il problema è il Mammellone mentre in Libia la situazione si complica a partire dal 2005, con le dichiarazioni fatte da Gheddafi, in autonomia, senza alcun riconoscimento internazionale, per quanto riguarda l’estensione di una Zona economica esclusiva (Zee) 64 miglia oltre le 12 di competenza. Questo logorante conflitto rappresenta la punta dell’iceberg della profonda crisi che ha colpito il comparto della la pesca siciliano che ha fatto registrare dal 2000 ad oggi una drastica riduzione dei pescherecci passati da 4.329 a 2.882 con un decremento di 1.447 unità. Inoltre, nel decennio 2006-2016 l’isola ha perso oltre 16 mila posti di lavoro nel settore ittico e il pescato si è ridotto di circa il 40%.



Ormai per la flotta dei pescherecci siciliani il mare è diventato pericoloso e poco remunerativo. Secondo alcuni operatori del settore, mediamente i profitti nelle acque tra Libia e Tunisia si aggirano intorno ai 100-200 euro al giorno che a stento riescono a coprire le spese. Alcuni armatori siciliani starebbero valutando la possibilità di cambiare rotta puntando al mare della Grecia, dove una giornata lavorativa può rivelarsi più redditiva.



L’Europa non sembra essere molto presente per risolvere questo annoso problema, ma sono in molti ormai ad essere convinti che senza nuovi accordi bilaterali  tra i Paesi direttamente interessati la “guerra del pesce” non avrà mai fine.




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