Qualche settimana fa un uomo è stato tratto in arresto dopo diversi mesi dalla morte della moglie – il caso era stato inizialmente catalogato come l’esito di un incidente domestico – e la sua responsabilità è stata accertata in modo pressoché documentale dall’ascolto di una conversazione ritualmente intercettata, nel corso della quale il figlio, in età pre-adolescenziale, riferiva ai nonni che “è stato papà ad uccidere la mamma”

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Non voglio e non posso soffermarmi sul caso specifico, ma questo costituisce lo spunto per alcune riflessioni che, se non fossero ciclicamente e settimanalmente attuali, sarebbero persino noiose.

Negli ultimi anni sono stato invitato più volte a convegni, dibattiti, tavole rotonde per affrontare il problema della tutela delle donne, di stalking e di femminicidi e il più delle volte ciò è accaduto nei giorni successivi alla consumazione di uno degli innumerevoli delitti con soggetto passivo femminile.

Mi chiedono quasi sempre se l’attuale normativa sia adeguata e in grado di tutelare le donne da ex compagni e mariti che con una escalation ormai quasi da manuale turbano la loro serenità fino a pregiudicare la loro incolumità individuale.

La mia risposta è sempre la stessa: la tutela preventiva e repressiva per questo tipo di reati è inadeguata e per una volta non credo che dipenda solo dal legislatore.

Tra due mesi ricorre la giornata internazionale per la tutela delle donne vittime di violenza ma di questo tema sarebbe auspicabile che se ne parlasse  negli ormai giorni del calendario non passati alla cronaca per un femminicidio, poiché ogni ragionamento fatto a seguito di un fatto eclatante ha l’effetto di un fiammifero che accende un foglio di carta: fa una fiamma visibile ma effimera e dopo qualche giorno nessuno ricorda più niente.

Parliamone dunque oggi, a settembre, perché l’argomento è certamente connesso a un sistema culturale e ideologico che andrebbe emendato da logiche maschiliste e prevaricatrici e rimodulato attraverso un’efficacie attività educativa prima endofamiliare e successivamente scolastica..

La tutela giurisdizionale delle donne vittime di stalking e di violenza non sempre è efficace e ho potuto sperimentarlo avendo applicato, nelle mie funzioni di giudice per le indagini preliminari, numerose misure cautelari per reati di atti persecutori, di maltrattamenti e di violenze sessuali.

In materia di stalking il legislatore ha dovuto mediare tra l’esigenza di prevedere misure cautelari per impedire agli uomini persecutori la reiterazione di condotte lesive in danno delle donne e l’esigenza di non prevedere per questo reato un trattamento sanzionatorio paragonabile a quello previsto per una rapina a mano armata o  per un omicidio.

Il risultato è stato modesto: è stata introdotta la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e quasi sempre questo tipo di provvedimento ha l’effetto di indurre un soggetto, che nella migliore delle ipotesi è un caratteropatico, a reiterare il comportamento persecutorio o ad aggredire la donna da lui “attenzionata”.

Ma d’altro canto la legge non mi consente, se non in presenza di eccezionali condizioni, di applicare la custodia in carcere a uno stalker. E allora dobbiamo spostare la nostra attenzione su un piano diverso: chiediamoci se la società di oggi è culturalmente e ideologicamente in grado di tutelare le donne.

Chiediamoci, immediatamente dopo, se disponiamo della laicità ideologica che consenta loro di distinguere un ingiustificato allarme da una fondata richiesta di aiuto immediato.

Che succede se una donna perseguitata dal suo ex marito o compagno denuncia l’accaduto a un poliziotto maschilista o semplicemente sprovveduto, ovvero se chiede l’intervento giurisdizionale a un magistrato che per sua impostazione ideologica ha sempre ritenuto che la donna sia una pertinenza del genere maschile?

E se parliamo di violenza sessuale: che cosa accadrebbe se il violentatore di una donna venisse giudicato da magistrati che coltivano ancora il dogma medioevale della “vis gratae puellae” e pensano che l’abbigliamento succinto di una donna possa avere indotto un soggetto a violentarla?

Se dunque vogliamo offrire alle donne un adeguato sistema di tutela dalle aggressioni maschili dobbiamo sforzarci di offrire a poliziotti e magistrati corsi di qualificazione professionale idonei al superamento di barriere ideologiche del tutto anacronistiche.

Quanto agli autori di questi reati, invece, niente è più efficace di una buona educazione e di un sostegno psicologico nei casi in cui lo stesso si rende necessario.

Spiegando ai nostri figli che le loro fidanzate non sono di loro proprietà, che essere lasciati non è un disonore, ma magari un’occasione per migliorare la propria condizione di vita, che amare se stessi vuol dire essere adulti e accettare anche le scelte dolorose di altri, le scelte di separazione, facendo tutto questo, probabilmente si eviterebbe il proliferare di maschi che pretendono il possesso delle donne e che non accettano la libertà di scelte delle stesse.

Se avessi un figlio “giù di corda” perché la fidanzata lo ha lasciato, parlerei con lui senza imbarazzo e proverei a farlo riflettere sugli errori che può avere commesso o semplicemente lo indurrei ad accettare la scelta della donna che lo amava e che non lo ama più. Proverei a spiegargli che anche l’amore, come tutte le cose umane, a volte finisce o prende tortuosi percorsi e che la vita è troppo breve per inseguire sogni irrealizzabili.

Ma i potenziali stalkers sono individuabili? Presentano un modulo comportamentale sintomatico della loro indole potenzialmente persecutoria?

Certamente sì: quando interrogo uno stalker quasi sempre mi risponde che lui si è limitato soltanto a tentare di recuperare un rapporto ancora vitale e che l’atto violento è stato solo un momento di particolare concitazione.

Non è così: chi ha un carattere predisposto alla prevaricazione, chi vive nella convinzione che la donna sia di sua proprietà, chi palesa comportamenti compulsivi che logorano la serenità della sua compagna è quasi sempre una persona caratteropatia e non di rado si trova in uno stato di mente che sta al confine tra la nevrosi e la psicosi. E allora è meglio essere cauti con questo tipo di persone e soprattutto e meglio non isolarsi e non cadere nella trappola di un rapporto vittima carnefice.

Qualche mese fa all’università una studentessa mi ha chiesto: “come posso capire se il mio compagno un giorno diventerà violento?”

Le ho risposto: “diffida da quelli che per imporre il loro punto di vista alzano il tono della voce, da quelli che accompagnano i loro repentini cambi di umore con altrettanto improvvisi gesti plateali, da quelli che quando ti parlano non ti guardano negli occhi, da quelli che non sanno ascoltarti e che pretendono di essere ascoltati, ma credimi: diffida anche da quelli che vogliono portarti a letto senza baciarti …”

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