STEFANO GIORDANO
L’avvocato penalista Stefano Giordano che a metà gennaio ha preso il posto di Pino Apprendi (rientrato all’Ars al posto di Francesco Riggio, condannato per lo scandalo Ciapi) alla presidenza di Antigone Sicilia, l’associazione che da anni si batte per i diritti e le garanzie del sistema penale, ha chiesto l’introduzione in Italia del reato di tortura. Del resto è noto che Strasburgo abbia imposto allo Stato italiano di introdurre questo tipo di reato. Giordano era già intervenuto come presidente di Antigone Sicilia, sui nuovi sviluppi investigativi concernenti il processo per l’omicidio di Stefano Cucchi su cui l’associazione aveva già fatto il punto in un incontro-dibattito dello scorso anno. “L’associazione Antigone Sicilia – ha sottolineato il presidente di Antigone Sicilia – si rammarica per la mancata introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, come Strasburgo ha imposto allo Stato italiano; reato di tortura che permetterebbe una punizione dei colpevoli proporzionata all’entità dei loro crimini”. Ricordiamo che Giordano è stato eletto all’unanimità dal direttivo dell’associazione Antigone Sicilia formato dagli avvocati, Francesco Leone, Giuseppe Lunardo e Eduardo Camilleri. Dell’Osservatorio carceri continuano ad occuparsene Pino Apprendi, Giorgio Bisagna e Vincenzo Scalia.
L’inadeguatezza dell’ordinamento italiano è stata censurata più volte dalla Corte EDU.
In particolare, i fatti verificatisi nel 2001 durante il summit del G8 di Genova hanno dato origine ad una pluralità di cause. Eppure, il nostro legislatore è latitante…
Questa situazione di impasse, che si trascina oramai da decenni, protrae ulteriormente il ritardo dell’Italia nell’adempimento degli obblighi internazionali in materia di tortura ed impedisce la “piena, efficace e rapida esecuzione” della sentenza Cestaro, esponendo il nostro Governo al rischio di una nuova condanna in sede europea.
il divieto di tortura è previsto dal diritto internazionale generale e, addirittura, da una norma di jus cogens valevole per tutti gli Stati della comunità internazionale indipendentemente da una sua espressa previsione pattizia. Dato questo contesto normativo inequivoco, la domanda che interpella il giurista è: perché ciò che è un delictum juris gentium (fino a configurare, a determinate condizioni, addirittura un crimine contro l’umanità), secondo il legislatore italiano non è reato?