Centro storico di Palermo: Meno attività di commercio al dettaglio, consumi in calo

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Patrizia Di Dio

In soli nove anni a Palermo è diminuito del 34% il numero di attività di commercio al dettaglio presenti nel centro storico: dalle 1.316 del 2012 alle 870 del 2021 (- 446). In forte rialzo le imprese nel settore turistico (alberghi e B&B, che però hanno ancora fatturati in calo del 25-30% rispetto a due anni fa) e della ristorazione, compresi bar, street food e take away. I consumi restano ancora sotto il livello del 1999: sono in discesa quelli tradizionali (abbigliamento, calzature, libri, giocattoli), in aumento i consumi di articoli tecnologici e per la salute. Sono alcuni elementi contenuti nella “settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici”, presentato dal Centro Studi di Confcommercio con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne, che tiene conto dei dati raccolti in 120 comuni italiani medio-grandi. Si tratta di una indagine sul tessuto commerciale, con un focus particolare sul centro storico, che disegna in maniera plastica non soltanto la crisi del settore, dovuta alla stagnazione dei consumi prima ancora che alla pandemia, ma anche la trasformazione del centro storico verso un preoccupante squilibrio commerciale e una disarmonia complessiva nelle funzioni e nella bellezza della città.

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“Palermo non sfugge a una pericolosa tendenza – commenta Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo -, quella di una alterazione in senso negativo dell’aspetto identitario della città, con un centro storico sempre meno attrattivo. Scompaiono interi settori merceologici, che magari decidono di spostarsi nelle periferie o nei centri commerciali; una disordinata evoluzione delle strutture di ristorazione e alloggio sta impoverendo i nostri centri. È un fenomeno che, negli anni, riduce la vitalità e l’attrattività dei centri storici che non è determinata soltanto dalla bellezza architettonica e monumentale ma da tutto ciò che li rende funzionali. Anche a viverci e a viverci bene. E fino a prova contraria le imprese del commercio e dei servizi contribuiscono a determinare questa qualità”.

È il momento di frenare questa deriva, resa ancora più preoccupante in un contesto di crisi che potrebbe assumere proporzioni più consistenti quando, negli elenchi delle imprese cessate, verranno inserite anche molte di quelle attualmente “congelate” in attesa da parte degli imprenditori di capire se, e soprattutto come, sarà possibile ripartire.

“Da anni – riprende la Di Dio – sostengo che il centro storico di una città come Palermo non possa rivolgersi solo a consumatori “mordi e fuggi”. Perché così non si va verso un equilibrio stabile: con il passare del tempo, una città senza negozi tradizionali e senza offerta diversificata di servizi diventerà sempre meno gradevole anche per i turisti e gli stessi residenti. Esistono le soluzioni, per esempio Il decreto salva centri storici che permette ai sindaci di “guidare il cambiamento”, non lasciando solo al libero mercato la possibilità di definire il tessuto commerciale nelle aree cittadini più sensibili, come ad esempio – nel caso di Palermo – il percorso arabo normanno o le aree pedonali. Occorre programmare il necessario riequilibrio del mix merceologico, cosa che questa amministrazione comunale, nonostante le innumerevoli sollecitazioni, non ha mai percepito come un’esigenza. Occorre sviluppare una strategia condivisa con chi conosce bene le esigenze del territorio, per disegnare insieme un’idea di città “smart” ma anche bella, moderna, funzionale e armoniosa. Grazie ai fondi del Pnrr appositamente destinati, possiamo immaginare un progetto di “rigenerazione urbana” che serva a creare le condizioni per un nuovo sviluppo della città, che faccia procedere in parallelo riqualificazione urbana e rivitalizzazione economica partendo dalle esigenze, spesso inespresse, degli abitanti. La città è un luogo in cui le persone interagiscono in chiave sociale ed economica. La nostra Confederazione punta alla salvaguardia e allo sviluppo integrato del tessuto economico della città con modelli di politica urbana che, nel medio e lungo termine, possano dare risposte concrete all’economia reale”.

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