Il futuro delle banche di contiguità tra i temi delle “Giornate dell’Economia del Mezzogiorno”
“Le banche di contiguità, loro ruolo e prospettive di informatizzazione” è il tema sul quale si è discusso nella Sala degli Specchi di Villa Niscemi, nel contesto dei lavori della XI edizione delle “Giornate dell’Economia del Mezzogiorno”, che si protrarranno fino al 24 novembre.
Ad aprire i lavori è stata Giuseppina Talamo, consigliere dell’Irfis, che ha posto l’accento sui vantaggi offerti dalle nuove tecnologie: “molte aziende, dopo la grave crisi del 2007-2008, si sono rimesse in discussione, – ha detto – comprendendo come gli strumenti digitali rendano più competitivi nei mercati, soprattutto internazionali”. E indicando alcuni dati Irfis ha aggiunto: “il settore che in questo ultimo periodo va più forte ed ha ottenuto i più cospicui finanziamenti, con 27 erogazioni per un totale di 14 milioni di euro, è quello manifatturiero”. Nel complesso all’Irfis nel 2018 (dati aggiornati a settembre) sono pervenute 64 domande con la delibera di 41 finanziamenti per un importo di 68 milioni di euro.
Pietro Busetta, presidente del Comitato Scientifico delle Giornate dell’Economia del Mezzogiorno, ha poi evidenziato come le banche di contiguità, ossia quelle vicine al territorio, si siano drasticamente ridotte e come sia necessario capire se siano destinate a scomparire completamente o se abbiano ancora un futuro. “In Sicilia sono rimaste soltanto la Banca Agricola di Ragusa e la Banca Sant’Angelo – ha detto Busetta – mentre all’inizio del ‘900 l’isola ne annoverava cento”.
E’ stata poi la volta di Francesco Faraci dell’Università degli Studi di Palermo, il quale ha fatto notare come la drammatica situazione delle piccole banche sia un fenomeno non solo siciliano, ma che si sta verificando in ogni area del Paese con pesanti ripercussioni. Per Faraci poi “le nuove regole per il mondo finanziario, imposte da ‘Basilea 3’, hanno scarsamente tenuto conto che i costi degli adeguamenti dovrebbero essere proporzionati alla dimensione delle banche, per non condannare questi istituti alla fine”.
Alcuni dati significativi sull’evoluzione del sistema bancario dopo la crisi del 2008, sono stati sottolineati da Luca Papi dell’Università Politecnica delle Marche. Sul territorio italiano le banche infatti, nel 2009 erano 788, mentre nel 2017 se ne annoveravano 538. Gli sportelli, da 34.036 si sono ridotti a 27.374, mentre i dipendenti, da 330.512, sono scesi a 286.200. Anche Papi si è soffermato sul forte impatto dei costi della nuova regolamentazione che finisce per penalizzare proprio le realtà più piccole, tenendo conto anche delle pesanti sanzioni amministrative previste.
Per Giovanni Battista Pittaluga dell’Università degli Studi di Genova, uno dei problemi di fondo è che “l’Italia non ha ancora imparato a stare nell’euro. Inoltre – ha aggiunto – è opinione corrente che siano state le banche a provocare la crisi, ma ciò non è vero; è stato così negli Usa nel 2008, ma non in Italia. La crisi italiana invece ha altre matrici”.
Ha preso poi la parola l’economista Salvatore Sacco il quale ha asserito che “è necessario analizzare cosa sia successo nel passato per comprendere cosa si potrà fare in futuro, anche se l’avvento delle nuove tecnologie, comporterà radicali cambiamenti non prevedibili adesso”. Sacco ha pure rilevato che le nuove tecnologie non potranno, da sole, essere sufficienti per colmare il gap di alcune realtà e come “il problema del sud è il problema del Paese”. Da tenere presente poi, – a parere dell’economista – che una notevole massa di risorse del Meridione va a finanziare il centro-nord, ed ha innescato un processo vizioso difficile da invertire.