03/05/2020
Palermo
In un tempo in cui non esisteva il divorzio, le mogli palermitane trovarono altre soluzioni. Molte donne si rivolgevano alle avvelenatrici per eliminare i mariti. Ed ecco serviti piatti della tradizione siciliana in amalgama di veleno come ad esempio la caponata, usata per il fondamentale impiego dell’agrodolce; la pasta con le sarde, per l’amarognolo delle sarde, il dolce dell’uva passa, il forte sapore del finocchietto e la lieve trementina dei pinoli; oppure la minestra di verdura di campagna, per il robusto amaro della cicoria. E per i dolci? Ancora più facile grazie al largo uso di mandorle dolci mescolate con le mandorle amare.
Palermo possiamo dire essere stata la patria del veneficio ed il più famoso veleno a base di arsenico era la famosa “acqua di Palermo” inventata da Thofania D’Adamo. Quest’ultima ebbe due collaboratori Francesca “La Sarda” e Placido di Marco che vendevano in tutta la Sicilia il veleno. Vennero giustiziati nel 1633 : il Di Marco venne squartato in quattro parti secondo la tradizione spagnola e la Sarda venne giustiziata al patibolo, in piazza Marina. Pochi giorni dopo, quella che fu ritenuta la responsabile principale dei delitti, appunto Thofania d’Adamo, fu giustiziata il 12 luglio con l’accusa di avere avvelenato un certo numero di persone tra cui il proprio marito.
Ma la tradizione delle avvelenatrici non si sospese a Palermo. La più famosa avvelenatrice palermitana fu Giovanna Bonanno, detta la vecchia dell’aceto. Siamo nel XVIII secolo e la vecchia donna scoprì casualmente che l’aceto per i pidocchi era insapore ed inodore, ma sopratutto un veleno micidiale. Si racconta, che una giovane ragazza aveva assaggiato per sbaglio l’aceto per i pidocchi creato dall’aromataio La Monica, che aveva la bottega in zona Papireto. La giovane si sentì male ma non morì. Da questo episodio, alla vecchia Giovanna Bonanno venne l’idea di somministrare il veleno ad un cane che morì in poco tempo. Il veleno era efficace ma sopratutto non lasciava alcun segno sul corpo. La vecchia aveva capito che quell’aceto era micidiale e conteneva arsenico. Pensò bene di non svelare l’origine della pozione e di vendere l’aceto come “acqua per uccidere uomini”. Il veleno acquistato dalle mogli veniva aggiunto nelle insalate o nella caponata dei mariti, ignari vittime. La vecchia dell’aceto uccise tanti uomini ma alla fine venne tradita dalla sua amica e comare, che la fece arrestare. La vecchia Bonanno venne giustiziata ai 4 Canti, in pubblica piazza. Venne fatto realizzare un calco del suo volto che ancora oggi è visibile al museo Pitrè di Palermo. Era talmente brutta che ancora oggi si suol dire per indicare chi è molto brutto “si chiu lario da vecchia di lacitu”.